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“HIGHLANDS, LE ALTE TERRE DELLA SCOZIA”

“Interessante opportunità per un giovane di non più di 35 anni, di lingua madre italiana e di buona cultura. Si offre ottimo stipendio come autista e cameriere in villa di antica famiglia scozzese. Si richiede disponibilità alla conversazione in italiano. Piccola vettura a disposizione nelle 36 ore settimanali di libertà. Al termine del semestre è previsto un viaggio in Italia ed un mese di vacanza pagata, eccetera, eccetera....”.

Giorgio rilesse l’annuncio più volte; poi telefonò ed ottenne subito il colloquio. “ ...Si trovi alle otto e trenta, puntuale, all’ingresso della Tollbooth Kirk di Edimburgo, sul Royal Mile, martedì della prossima settimana. Una vettura l’accompagnerà alla nostra residenza di Strathpeffer, nelle Highlands. Potrà rimanere fino a venerdì, se vorrà. Al termine prenderemo con lei la decisione. In ogni caso le rimborseremo le spese di viaggio”. Il tono di lady Annabel Burns era formale ma gentile; poche domande ma molto precise. “...Sono laureato in filosofia...sì, sono a Londra per perfezionare l’inglese e do qualche lezione di italiano...ventinove anni...salute ottima... sì, sono celibe, naturalmente ...No, purtroppo devo lavorare per mantenermi. Faccio l’istruttore di nuoto in una piscina...”

“Ah! Come il nostro eroe, Sean Connery, prima che diventasse una star ! Benissimo“. Alle sette di quel mattino, Giorgio aveva già percorso quel famoso miglio dal palazzo reale di Holyrood fino al Castello di Edimburgo, al colmo del colle. Alle otto era nervosamente in attesa alla Tollbooth Kirk. Si aspettava, chissà perché, una frusciante limousine dai vetri oscurati. Arrivò invece un furgone infangato con la grossa ruota di scorta montata sul cofano anteriore. “Perdoni la vettura, giovanotto. È un po’ rigida, ma sulla strada del ritorno devo fermarmi a caricare due pecore di sir Albert”. Così Giorgio ebbe il primo assaggio delle rustiche Highlands. Lo attendeva un the delizioso servito nel parco del castello dei Burns. “Non si spaventi ! Utilizziamo solo una decina di camere. Il resto è attrezzato a museo della famiglia, a pinacoteca ed a sala delle armi”. Arrivò anche sir Albert. Cammina un po’ curvo, appoggiandosi ad un robusto bastone dalla impugnatura in argento. “Sicché, lei è un filosofo, mio giovane amico! Interessante. Io mi diletto di filosofia, soprattutto di filosofia della scienza. Mi diletto nel senso che sono un dilettante appassionato. Ora perdonatemi se torno ai miei libri. Definisca pure il tutto con lady Annabel. Auguri”. “Suo padre è molto gentile, lady Annabel, e così giovanile”.

“È mio marito, George... Ma ora ti chiamerò Giorgio, visto che faremo la prima lezione di italiano, iniziando con la lettura di ciò che ho scritto e che commenteremo assieme!”. Giorgio si morse le labbra anche se la giovane moglie di sir Burns si era espressa in tono assolutamente normale e si ripromise, d’ allora in poi, di contare fino a dieci prima di parlare.

La biblioteca ha le pareti interamente coperte dagli scaffali pieni di libri, da terra fino al soffitto a cassettoni. Austera, è vero, ma stilisticamente armonica, calda e con un atmosfera straordinariamente favorevole allo studio, alla lettura, alla prossimità intellettuale e fisica.

Ad eccezione delle compatte collane enciclopediche, i volumi non sono ordinati come elementi d’ arredamento, ma per argomenti. Ne risulta un disordine apparente, di biblioteca viva, frequentata. Un computer è acceso con un data-base che consente un rapido reperimento dei volumi desiderati.

“Sir Albert possiede quasi ventimila volumi. In questo locale, arredato nel 1850, ce n’è circa ottomila. Vi sono anche tutti i classici italiani, molti in edizione originale e spesso preziosa. Nella sala accanto, oltre duecento raccoglitori consentono la consultazione di articoli di intere annate di riviste di filosofia, di scienza e di letteratura. Nel tuo tempo libero, Giorgio, puoi venire in biblioteca quando vuoi...Sai usare questo computer ? Bene.

“Non è però consentito portare fuori dalla biblioteca i volumi se non chiedendo l’autorizzazione a sir Albert e ti prego di rispettare questa regola”.

In un vano, tre ritratti del settecento, contornati da un drappo coi colori del clan familiare. ricordano antenati scozzesi. I visi sono rugosi, seri fino alla durezza; gli occhi azzurri e ridenti. Al centro, un tavolo di fattura indiana, carico anch’esso di libri e di fogli coperti da una calligrafia fine e fortemente inclinata, elegante e leggibilissima.

“Ecco Giorgio. Sto lavorando al testo italiano della relazione che sir Albert terrà, naturalmente in inglese, al prossimo convegno a Venezia. L’argomento che studia da qualche anno riguarda la cosiddetta memoria dell’acqua. Sembra provato infatti che le infinite forme che i cristalli di ghiaccio possono assumere, diversi l’uno dall’altro come diversi sono i volti degli uomini, rappresentino dei messaggi, contengano cioè la memoria delle situazioni in cui il congelamento è avvenuto”.

“Non ne ho mai sentito parlare. Mi sembra sorprendente e di fascino straordinario”.

“É così. Sir Albert ha fatto anche costruire una cella frigorifera. Vi lavora ben coperto e per brevi periodi con una completa attrezzatura per la fotografia al microscopio. Certamente vorrà farti vedere i risultati più straordinari. Attento a non prenderti un potente raffreddore nel gelo della cella. Poiché dovremo lavorare su questi documenti, suggerisco, se vorrai rimanere con noi, che tu cominci a leggere questa traduzione dei lavori del gruppo giapponese di Masaru Emoto. Sono facilmente comprensibili e certamente sorprenderanno un filosofo anche se fresco di laurea. Ora però cominciamo a controllare il mio italiano”.

Lady Annabel sorride in modo aperto e cordiale ma Giorgio si sente piuttosto contratto e rigido sulla sedia. Si rende conto che il suo atteggiamento può tradire l’affascinata ammirazione destata dalla padrona di casa. Le lunghe gambe accavallate, il piede slanciato nel sandalo dorato, l’ovale perfetto del viso, sottolineato dalla pettinatura tirata e raccolta in una crocchia così gonfia da far intuire la lunghezza dei capelli d’un biondo che Giorgio tra sé definì ‘veneziano’, quel biondo veneziano fissato per sempre negli ‘Ornamenti delle dame’ del Marinello. Gli occhi di lady Annabel sono stranamente scuri, mediterranei, dolcissimi e...il profumo del suo corpo, corretto dall’amaro di una essenza sottile, è appena percepibile ma, chino il busto sui fogli, sembra uscire a sbuffi dalla scollatura del leggero abito estivo, coi movimenti della donna, misurati, lenti e controllati e di un’ eleganza che Giorgio non sapeva se definire naturale oppure indotta da studio attento. Si sforzava di tenere fermo lo sguardo agli occhi della donna o al brano che lei indicava leggendo, ma non poteva non osservare il gioco ammaliante delle mani, curatissime e perfette, di lady Annabel che si muovevano ai margini del suo campo visivo come dotate di vita propria. “Lei, suppongo, ha studiato recitazione, lady Annabel”.

“Oh sì! Alla scuola del Teatro Reale di Edimburgo. E tu sei un attento osservatore. Col matrimonio, ho però cessato la frequenza ai corsi ed ora organizzo recite benefiche e per i bambini delle scuole dei villaggi della nostra contea”.

Poteva essere sui quaranta o anche meno, pensava Giorgio. Una donna di grande fascino, serenamente felice a fianco d’un uomo colto, voluttuoso, si diceva Giorgio, ma nel senso epicureo ovvero un uomo che ama profondamente la vita e che ben conosce la difficile arte di farla scorrere veloce. Non perché voglia che sia più breve ma affinché il piacere ne renda insensibile il trascorrere.

Preso nei suoi pensieri, Giorgio fu quasi sorpreso dall’ alzarsi un po’ brusco di lady Annabel. “Ora ecco le istruzioni per la preparazione quotidiana del bagno coi miei sali indiani”.

Il locale è molto grande ed i colori dominanti sono il nero lucido del marmo dei pavimenti ed il bianco delle pareti, coi riflessi dei grandi specchi che occupano le pareti laterali dell’antibagno. L’arredo è del primo novecento ed il tutto è vivace per i grandi mazzi di fiori freschi. “Ecco, Giorgio. La vasca va riempita fino a quel segno di livello ed il miscelatore posizionato esattamente sulla tacca in modo da avere la temperatura adatta. Questo contenitore va lasciato aperto nella vasca in modo che si riempia con acqua alla stessa temperatura.

“La vasca è pronta in sei minuti. Solo allora nel contenitore devi versare tre misurini di questo sale verde e mescolare: si scioglie velocemente. Quando la soluzione è limpida, non prima, la verserai nella vasca. Sir Albert sostiene che questi sali mi inducono alla calma meditazione, proprio attraverso la memoria che conservano nei loro cristalli che, sciogliendosi nell’acqua in cui mi immergo, mi trasmettono la pace sognante indotta dalle lente litanie che i monaci buddisti hanno cantato mentre i cristalli si formavano nel tempio. Non appena tutto sarà pronto, mi avvertirai con tre trilli di questo campanello ed io arriverò subito, poiché mi sarò già completamente spogliata...

(Giorgio rimase impassibile ma non gli sfuggi l’occhiata, rapidissima ed obliqua, con la quale, evidentemente, lady Annabel voleva controllare la sua reazione)

“Ciò ogni giorno, alle sei esatte del pomeriggio. Attento, la successione delle operazioni ed i particolari sono molto importanti per preservare le doti dell’acqua e dei sali. Terminata l’immersione – dura quindici minuti esatti - ti chiamerò per pulire il bagno. Quindi ti preparerai per servire la cena alle sette e trenta. L’orario deve essere rispettato e le portate servite nell’ordine che dirà il cuoco che conosce perfettamente i gusti di sir Albert. Indosserai una marsina appena stirata dalla guardarobiera e guanti bianchi, immacolati”. Giorgio annuisce con attenta concentrazione.

 

Quella prima sera Giorgio prende possesso della sua camera che, all’ultimo piano, si affaccia sul retro del palazzo. Piccola e raccolta, ha la comodità di un bagno privato con doccia. La finestra, consente una vista ampia sui prati che salgono in lieve pendenza fino all’abetaia fitta ed oscura. Le dolci colline occidentali intercettano il sole al tramonto. La luce del lungo giorno estivo del nord ora cambia velocemente. Si alza una brezza di cui Giorgio s’avvede per il curvarsi a onde dell’erba alta e che scompone i capelli grigi e sottili di sir Albert che sta attraversando il prato attorniato da quattro giovani cani da caccia che si rincorrono giocando mentre lui tenta di fermar le pagine del volume che sta leggendo e che l’aria insiste a sfogliare con soffi improvvisi e radenti.

Il mattino dopo, alle nove, Giorgio serve la colazione a sir Albert sul terrazzo; subito dopo gli porge la posta ed i giornali. Arriva lady Annabel che saluta sorridendo il marito sfiorandogli il capo con una carezza lieve.

“Giorgio, cambia i guanti in guardaroba: sono troppo grandi. Hai mani molto fini e nervose; mi ricordano l’impronta delle mani di Chopin”.

(“Dovresti sentire come suonano il corpo di un donna”), sospira Giorgio.

Quando la donna si alza lasciando l’ampia poltrona di vimini avvolgente che la ripara dalle folate della fresca aria del mattino, la gonna ampia e bianca si apre e sbatte come la randa nella virata d’un timoniere inesperto delle bizzarre folate del vento del lago di Lochness. Un cucciolo agile vi si tuffa giocando.

“Giorgio! Fra mezz’ora in biblioteca e lavoriamo. Sono ansiosa di conoscere il tuo giudizio sul mio italiano”.

“Certo, lady Annabel, con piacere”...

“Sei un ottimo insegnante, Giorgio. Le incertezze nel servire sono presto rimediabili. Il bagno di ieri sera era perfetto, grazie. Se sir Albert e tu siete d’accordo, confermerei l’ incarico per tutti i sei mesi della tua permanenza minima da noi”.

La voce di lady Annabel è ridente ma un po’ più acuta del tono abituale, caldo e pacato. Sir Albert annuì con un cenno del capo: “Lasciamelo per un’ora, cara, per mostrargli i cristalli perfetti che ho ottenuto ieri. Gli servirà per comprendere meglio la materia su cui sta lavorando con te”.

“Vedi Giorgio, hai già conquistato sir Albert, ma... mettiti un bel maglione pesante”. AGiorgio sembrò che Lady Annabel gli sorridesse con un cenno d’intesa.

 

Il ritmo di casa Burns (‘il castello dei Burns’, dicevano gli ospiti, i fornitori ed i contadini) prosegue regolato dalle norme dettate dall’attività di studioso di sir Albert. I lavori rumorosi nel parco sono consentiti solo di sabato, quando i Burns sono all’ appartamento di Edimburgo. Ora è Giorgio a guidare la vettura, una Bentley naturalmente, senza superare i limiti di velocità, affrontando con dolcezza le curve della strada stretta e rallentando quando la visuale ridotta avrebbe potuto fargli trovare di fronte al radiatore una pecora lenta che il cane stimola abbaiando. Chissà perché non si vedono quasi mai persone, neppure il pastore.

Ogni venerdì ad Edimburgo, puntualmente alle sei, Giorgio prepara il bagno con lo stesso rituale. Poi è libero fino alla domenica mattina quando, alle dieci, è pronto con la Bentley per riportare i Burns al castello.

Il lavoro in biblioteca prosegue. Giorgio ormai aveva appreso che non solo i cristalli di ghiaccio si formano in modo perfetto in ambiente armonioso e amorevole, ma risentono anche delle atmosfere negative, formandosi allora incompleti e deformati. Le illustrazioni degli studi rigorosi di Emoto lo confermano senza ombra di dubbio. Inoltre sembra ben provata l’ipotesi che anche l’acqua assuma, per la natura di un legame seppur debole tra le molecole, forme diversamente influenzate da situazioni favorevoli o di disagio, di piacere o di disarmonia. Ma la fisica non è il suo forte e non approfondì questo aspetto. Lesse invece con attenzione le argomentazioni sulle conseguenze possibili; ma queste erano ipotesi ancora non provate.

 

Ormai più volte gli era venuta la tentazione di immergersi nella vasca, preparata coi sali indiani, immediatamente prima del bagno di lady Annabel. Quando gli venne questa balzana idea ne fu sorpreso e un po’ turbato ma riuscì a resistere alla tentazione, anche se già aveva verificato che l’acqua, così preparata, non produceva schiuma agitandola anche a lungo con la mano.

Un mattino, lady Annabel era in ritardo per la colazione. Al termine una vivace folata di vento la investì mentre si avviava alla casa con le mani impegnate nel reggere un largo piatto di biscotti. Non tollerava che i cani lasciati soli ne mangiassero, sporcando la tovaglia ricamata con le zampe bagnate di rugiada. Il vento le scoprì le lunghe gambe fasciate di seta. Fu come un lampo di luce in un giorno piuttosto spento ed opaco. Alla biblioteca poi, lady Annabel arrivò con un tailleur raffinato ed il profumo colpì Giorgio: lo sguardo divertito della donna lo sorprese mentre aspirava ad occhi chiusi ed a narici dilatate, come i cani di sir Albert. La profonda scollatura dell’ abito era forse la causa del tepore di quel profumo. Giorgio rimase turbato dall’essere stato sorpreso in quell’atteggiamento, acuito dal pensiero che la donna non avesse proprio nulla sotto la giacca dell’abito. Lady Annabel questa volta rise apertamente:

“Non fartene un problema, Giorgio. Conosco gli ardori dei giovani maschi sani!”. La lezione quel pomeriggio fu piuttosto distratta e più volte lady Burns, sorridendo, invitò Giorgio a concentrarsi sul testo, distogliendo gli occhi da lei.

Quella sera Giorgio non tentò neppure di resistere al desiderio che lo rodeva. Iniziò in anticipo il rito della preparazione del bagno, mise l’allarme all’orologio per avere il tempo di asciugarsi e rivestirsi e si immerse nell’acqua della vasca, verde per i sali indiani disciolti. Si abbandonò e fu subito stupito di perdere quasi del tutto la consapevolezza del proprio peso.

 

La prima trasgressione alla procedura della preparazione del bagno divenne inevitabilmente un’abitudine. La pulizia del bagno poi, quel profumo intenso, quell’acqua verde, trasparente, tiepida come un corpo, lo facevano sognare, avvolto negli asciugamani che avevano accarezzato lady Annabel. L’ acqua, ancora perfettamente trasparente, defluiva senza lasciare alcun residuo, finendo con un vortice che Giorgio osservava esaurirsi senza rumore come se, velocemente ruotando, volesse trascinarlo con sé e che, ora ne era certo, conservava la memoria del corpo di lady Annabel nelle molecole che immaginava come minuscole viole d’amore, di un verde pallido.

 

Quella sera, subito dopo che lady Annabel aveva lasciato il bagno, chiuse a chiave, si svestì rapidamente e si immerse nuovamente nella vasca.

La sensazione fu fantastica mentre lievissimi brividi gli percorrevano la schiena, dal coccige fino alla nuca, causando una specie di irrigidimento eccitato in trasognante deliquio. Subito e senza averlo voluto consapevolmente, come vedendosi dall’esterno di sé, lo colpì l’immagine di lady Annabel: le lunghe unghie laccate percorrevano la sua colonna vertebrale in una lenta carezza dolcemente graffiante. Ma il suo sorriso...il suo sorriso lo sorprese con un senso di gelo. Forse ormai l’acqua della vasca era troppo fredda.

Quella sera arrivò in ritardo a servire la cena e si scusò con sir Albert. Doveva proprio ricordarsi di darsi un tempo fisso anche per la seconda immersione.

 

Le settimane passavano e nulla sembrava mutare nel rapporto con lady Annabel. Eppure...!

Sì ! Qualcosa stava cambiando. Impercettibilmente, se lo si osservava nel quotidiano. Ma lady Annabel ora arrivava in biblioteca in pantaloni e maglione. Doveva interpretare il fatto solo come una crescente familiarità con l’insegnante di italiano? Non era solo questo, si diceva Giorgio. Forse, anche la donna cominciava a sentire per Giorgio quella attrazione che le faceva inconsciamente aumentare le difese e che invece sconvolgeva il giovane che credeva di conoscerne la causa e che non riusciva più a sottrarsi al dolce turbamento della doppia immersione quotidiana che attendeva, approssimandosi l’ora, con eccitazione crescente. Forse era vero: quell’ acqua conservava la memoria della pelle e delle intimità prima sue e poi della donna e, verde di quei sali indiani misteriosi, penetrava nei loro corpi, un poco ogni giorno, lenta l’azione come quella di un dolce filtro d’amore.

Giorgio era combattuto fra il dubbio che la teoria della memoria dell’acqua avesse qualche fondamento e il desiderio, ormai assillante, che qualcosa dovesse pur succedere. Ricordò improvvisamente come la giovane svedese conosciuta a Londra aveva respinto le sue avances:

“L’amore maschile è un fatto puramente chimico... ed io non sento alcun prurito per te!”, gli disse ridendo quella ragazza del nord, declinando l’invito a casa di Giorgio per un piatto di tenero roast-beef con un bicchiere di Porto, dopo la serata alla proiezione d’ un film di romantica passione a cui l’aveva invitata sperando così di preparare l’atmosfera.

Che strana definizione! La memoria dell’acqua: un fatto chimico, fisico o chimico-fisico? Bisogna proprio che approfondisca l’aspetto scientifico di questa teoria, pensò Giorgio.

Ma lady Annabel quella sera, riponendo un volume nello scaffale e dando le spalle a Giorgio, lo sorprese con un tono che, pur formale e gentile, non ammetteva repliche: “Il nostro lavoro è ormai terminato. Il tuo inglese è molto fluente così come, suppongo, il mio italiano. Ho già consultato sir Albert che è d’accordo. La tua collaborazione termina come previsto a fine mese. Con l’ultimo stipendio ti darò il biglietto aereo da Edimburgo che puoi utilizzare per rientrare in Italia oppure farti rimborsare se ti fermerai ancora a Londra”.

Scesa dallo sgabello, lady Annabel si girò verso Giorgio e concluse, stranamente in inglese: “Grazie, George, per il servizio, le lezioni di italiano e per il modo con cui mi hai preparato e poi riordinato il bagno ogni sera. Il prossimo week-end andiamo ad Edimburgo con la vettura di un amico di famiglia e tu sei libero, ma, sorry, la vettura piccola è in riparazione”.

Lo sguardo ed il tono di lady Annabel furono una rivelazione fulminante per Giorgio.

(“Chi preparerà il bagno nell’appartamento di Royal Mile? Forse quell’amico!? Ed io che non avevo capito nulla!”).

Si convinse che lady Annabel aveva sempre saputo. Aveva subito scoperto le immersioni di Giorgio prima e dopo il suo bagno, indotte dal suo comportamento di subdola seduzione e voleva solo verificare la teoria della memoria dell’ acqua e forse riferiva a sir Albert il progredire della prova sperimentale in cui lui era solo una cavia, mentre lo infiammava con le scollature ed i profumi. Quel vecchio rimbecillito che rischiava di rimanere congelato nella sua cella frigorifera ! Ma era già congelato, dalla vita in giù.

“ Mi ha solo usato...!” pensò Giorgio, “...Forse in bagno ho dimenticato un mio oggetto, un indumento. O forse mi controllava dall’inizio attraverso uno spioncino nascosto...”, s’arrovellava parlando a bassa voce nella sua camera percorsa nervosamente nei pochi passi tra la porta e la finestra.

 

L’inverno era alle porte ed il semestre stava terminando in una serie infinita di rapidi pomeriggi grigi di pioggia minuta. In biblioteca, la luce naturale non bastava più.

Quel sabato Giorgio scese al villaggio vicino e, da Charlie, il ciclista, noleggiò una bicicletta, nera e pesante come il suo umore: “ Ne faccio a meno della tua vecchia Morris che mi fate trovare sempre col serbatoio vuoto e che consuma più di un aereo...!”

Le nuvole sono così basse da sembrare nebbia sulle ondulazioni terrose delle Highlands, strisciante e minacciosa come il mostro di Lochness e gonfia d’acqua. Le stoppie sono d’un tono spento, brunastro, velato e confuso mentre nei primi giorni di quell’estate erano sembrate a volte del giallo di Van Gogh. Il fitto bosco d’abeti, oggi è nero e come dipinto a spatola da un impressionista. Chissà perché sembra tutto così arido, oggi, nonostante la pioggia ininterrotta di questi giorni. Più che arida, quella terra ricca di torba permeabile, oggi pare sterile, deserta d’uomo, con qualche pecora o capra qua e là a brucare steli rinsecchiti. Folate rapide di vento freddo lo fanno inarcare sui pedali e la pioggia, doveva aspettarselo, comincia a colpirlo frontalmente entrandogli nel colletto e bagnandolo fino alla cintura come fosse stato immerso in quell’acqua. Finalmente trovò, a lato della strada sterrata, una tettoia parzialmente ingombra di fieno. Gelato e fradicio, Giorgio si stese su quel letto umido e pungente.

Nonostante ciò, si era addormentato. Così almeno aveva creduto in un primo tempo, rammentando quella visione nitida, improvvisa e terribile. Lady Annabel giaceva nella vasca; il corpo nudo, abbandonato. Il capo, appesantito dai lunghi capelli sciolti e ondeggianti, era totalmente immerso nell’ acqua immota. Il verde, tenue ai piedi, si tingeva lentamente di rosso, molto lentamente, all’altezza del collo ornato da una collana di corallo: no, non è una collana! Oh Dio, la gola è tagliata da una larga ferita aperta. Una mano, nodosa e forte, le preme il petto ma dalla bocca aperta della donna non escono più bolle d’aria. Non è sua, quella mano. Giorgio ne è certo. E’ una mano sconosciuta, estranea: le unghie rotte, le dita tozze, una mano di pecoraio. La visione durò pochi secondi, almeno così sembrò a Giorgio che subito si riscosse. Con sollievo, scoppiò in una gran risata:

“Sì, per un momento avrei proprio voluto essere io a sgozzare quella raffinata seduttrice che mi ha avvelenato coi suoi sali, rincretinito con la memoria dell’acqua di sir Albert, portandomi pian piano all’esasperazione di un desiderio frustrato e sconvolgente, per liquidarmi poi in poche parole: ’Questo week-end andiamo ad Edimburgo con la vettura di un amico di famiglia’. Figuriamoci. E sir Albert poi, coi suoi cani e la sua cella frigorifera! Sono stato stregato da quest’ atmosfera scozzese. Prima ti sembra che dalla nebbia escano, inattesi e temibili guerrieri brutali, eroici difensori di una orgogliosa indipendenza, in corsa al ritmo crescente delle cornamuse incalzanti e sibilanti e ti ritrovi poi in una landa deserta, dove il cielo, all’orizzonte, sembra ripiegarsi sotto le onde immobili di una terra il cui limite s’allontani man mano che ti illudi di raggiungere l’orizzonte. “Questi sono pazzi o degenerati. Faccio la valigia e, appena mi pagano, me ne torno a Londra”.

Così avvenne il lunedì sera. Il commiato fu formale. Sir Albert non sorrideva né, parlandogli, lo guardava in viso: “Se ti è utile una lettera di referenze, posso spedirla al tuo nuovo indirizzo di Londra quando ce lo comunicherai”. “Grazie sir Albert, ma non serve. Forse rientrerò in Italia”... La domenica successiva, a Londra, Giorgio s’incamminò sul mezzogiorno verso Trafalgar Square e comprò un giornale senza badare alla testata, uno di quei giornali festivi che hanno più titoli e foto scandalistiche che testo. Come un pugno violento lo colpì la foto e quel titolone: “Lady Annabel Burns assassinata ieri sera nell’appartamento di Edimburgo!”

Giorgio barcollava; ripiegò il giornale e si avviò al pub all’angolo. Aveva assolutamente bisogno di sedersi. Lentamente cominciò a leggere l’articolo.

Ogni singolo particolare gli ricordava esattamente la sua visione, tranne la mano che, orribile e brutalmente viva, premeva, mortale, le curve dolcissime del petto di lady Annabel.

“Che mi succede?”, pensò.

Allora si ricordò di Popper e della sua originale interpretazione della teoria della relatività di Einstein: “Sììì; ho capito. Tutto è già avvenuto in un unico istante esplosivo, come per il big bang che è all’origine dell’ universo. Il tempo è un inganno. Il caso ci pone in uno schermo, uno qualsiasi degli infiniti schermi possibili, sul quale si proietta un film già tutto girato che, scorrendo, ci dà l’illusione del tempo e della storia.

“Al fienile, in quel trasognato momento d’abbandono, stanco per la pedalata contro il vento, io mi sono trovato, per un misterioso e casuale accadimento, in uno schermo in cui quella pioggia era passata prima di scrosciare sulle Highlands, bagnandomi fino all’osso. Ero in uno schermo lontano una settimana-luce ma verso quello che noi chiamiamo futuro e quindi, nell’illusione del tempo, quel fatto che io ho visto in tutti i particolari, sarebbe inevitabilmente avvenuto una settimana dopo sullo schermo del nostro personale vissuto, che crediamo l’unico reale.

“Inevitabilmente?... Io ho visto il fatto una settimana prima. Forse avrei potuto salvare la vita a lady Annabel!” Un poliziotto seduto al bancone lo stava osservando. Giorgio si rese conto d’aver pensato a voce alta, fortunatamente in italiano. Il poliziotto sorrise e alzò il boccale della birra, quasi un cenno di complice saluto fra bevitori mattinieri.

Giorgio uscì senza attendere la cameriera, lasciando al tavolo il denaro della consumazione.

L’articolo del giornale prosegue spiegando che si ricerca un giovane italiano, solamente come testimone forse importante. Ne dà nome e cognome precisando che non è noto l’attuale indirizzo londinese e invitando i lettori a segnalare la sua presenza al più vicino posto di polizia. Giorgio s’incamminò quasi correndo senza badare agli urti con la folla che gremiva il percorso:

“Subito all’ agenzia e prenoto il volo”.

Di colpo si ricordò che sul biglietto c’era il suo nome, Mr. Giorgio Niccoli, come sul passaporto, sulla carta d’identità, come nell’articolo del giornale.

“No! Vado a Victoria Station e prenoto il treno della notte e... Oh Dio! Il tunnel della Manica. Devo passare sotto quell’acqua! Ma l’Inghilterra è un’isola! Che mi succederà?”.

Si immobilizzò sul marciapiede mentre la pioggia cominciava a penetrare sotto l’impermeabile. Aveva ormai la camicia fradicia quando un uomo che attendeva l’autobus alla fermata aprì l’ombrello riparando anche Giorgio:

“Si sente male, giovanotto? Posso aiutarla?”

Il soffio dell’aria compressa dei freni del grosso autobus a due piani, fu l’unico ricordo chiaro nella mente di Giorgio. Non ricorda altro...

Il bianco dell’ ambulatorio del pronto soccorso è abbagliante. Un medico gli è vicino:

“Bene! Si sta riprendendo...Ha un documento? A che cosa è dovuto il trauma al capo: sembra dovuto ad un forte colpo, come una bastonata violenta”. “Non ricordo. dottore...proprio non ricordo, ma mi fa ancora tanto male”.

Poi quasi gridò: “Sono Giorgio Niccoli. Avrei potuto salvare lady Annabel Burns. Sì, la moglie di sir Albert. Io l’ho vista, assassinata, sgozzata nel bagno, a Edimburgo. E’ vero! L’acqua ha la memoria e la teoria di Popper è esatta. Io posso provarlo!”. Il medico si tolse gli occhiali. Li pulì, concentrato, col lembo del camice e se li rimise senza cessare di osservare Giorgio con attenzione intensa. Poi sospirò, con un soffio quasi identico a quello dell’aria compressa dell’ autobus:

“Aspetti qui. Non si muova assolutamente. Alzandosi, potrebbe nuovamente svenire. Chiamo un collega che possa aiutarla. Io non posso fare altro”.

Uscendo, il medico bisbigliò qualcosa ad un infermiere che subito si spostò a riordinare il letto vuoto a fianco del giovane.

Giorgio non aveva alcun desiderio di alzarsi. Si sentiva stanco. Molto stanco. Girò solo il capo verso la finestra. Ormai è sera ed il cielo di piombo lascia cadere una pioggia fine ma continua.

Lunghe tracce d’acqua rigano i vetri: “Chissà da quale passato verrà quest’acqua! Oppure, forse, da quale futuro è venuta!”.

“E se la polizia non crede alla mia versione? Se ritiene che, preso da un raptus passionale, io mi sia recato da Londra all’appartamento dei Burns al Royal Mile, avendo conservato la copia delle chiavi e con la conoscenza esatta delle abitudini così metodiche di lady Annabel e di sir Albert? Omicidio premeditato!... Allora sono perduto! “...” E se poi veramente mi ci sono recato? Se si trovano tracce della mia presenza? ...Forse ho sorpreso l’assassino (quella mano, tozza ed ossuta, che premeva mortalmente il petto di lady Annabel!) e lui mi ha colpito, tramortendomi e facendomi perdere la memoria del fatto? Come potrei dimostrarlo? Devo negare, negare. Negare disperatamente... Vengono ancora impiccati qui, gli assassini?”.

Giorgio ebbe la visione terrificante e assurda delle sue scarpe nuove da footing che oscillavano lente nella botola aperta nel pavimento del patibolo.

L’infermiere si girò, premuroso ma teso come una molla animale: “Non agitarti. Hai sete? Vuoi un bicchiere d’acqua?”

Giorgio lo guardò, imbambolato: “No, grazie. Basta acqua...basta!”

Il medico, un nuovo collega ed il poliziotto di servizio, entrarono nel lungo corridoio tra i letti. Giorgio non rispose alle domande ma forse non ne fu consapevole: era come se avesse improvvisamente dimenticato l’inglese. I loro passi avevano lasciato larghe orme di bagnato, con occhi lucenti di unto, cerchi verdastri dal bordo di un giallo ossidato: come fosse petrolio.

“Forse questa pioggia viene dal Mare del Nord”, disse Giorgio. Con sguardo teso e ansioso, rimase a lungo a fissare quelle orme finché non apparve ai bordi una traccia biancastra.

“Ecco! Ecco i cristalli di quell’acqua!”. Gridò cercando di alzarsi a sedere. Ma ora il poliziotto gli teneva una mano sulla spalla: “Vuole parlare in inglese, per favore?”

Giorgio ricordò, come vedendo le parole scritte, l’ultima frase del racconto che aveva terminato di leggere il giorno prima: “Mi avvalgo della facoltà di non parlare se non in presenza dell’ avvocato che indicherà la mia ambasciata”.

Una ventata improvvisa spalanca la finestra. La pioggia, quasi orizzontale e gelida, investe Giorgio che si sveglia, recuperando lentamente coscienza.

Era nella sua piccola camera londinese.

Sorride del suo incubo. Incespicando, infila i pantaloni ancora un po’ umidi della pioggia del giorno prima e, nella tasca destra, la mano incontra il freddo del metallo ed un cartoncino semirigido: un mazzo di chiavi che riconosce con un brivido e...un biglietto ferroviario per Edimburgo, andata e ritorno.

È ‘obliterato’, direbbero i burocrati delle ferrovie italiane, con la data del sabato precedente.

Luciano Rossi


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