"Chi si prende gioco degli uomini,
Ivan?"
Dostoevskij, I fratelli Karamazov
Se è vero che tutta la vita delle
società occidentali si presenta come una sterminata accumulazione di
spettacoli per cui tutto quello che era direttamente vissuto si è
allontanato in una rappresentazione, viene da chiedersi di quale
materia infetta siano fatte le paure che popolano le nostre città nelle
ore di veglia e di sonno.
Paure dilaganti, che scorrono nelle nostre
vene, nelle cellule, nel cibo, nelle lingue inaudite, lasciando nella
mente la persuasione di avere svelato l'orrore di un'altra verità,
quando invece hanno deposto soltanto un altro seme di stupidità.
La scena è nota e si ripete sempre uguale: gli ipocriti della rappresentazione
che passano in rassegna, nei giorni pari, le paure pubbliche sono gli
stessi che poi, nei giorni dispari, evocano formule di salvezza,
incitando al sacrificio purificatore di qualche miserabile comparsa.
In
questo modo il circolo paura-salvezza-paura viene
tenuto vivo da un avvilente spettacolo che non ha altro scopo se non
quello di perpetuare se stesso.
Colui che è dotato di intelletto aperto ha imparato a diffidare delle
manifestazioni della paura, ciò che per lui conta è esplorarne
l'origine, andarne alle radici, solo così si rende visibile
l'invisibile, l'omino gobbo chino sotto il tavolo che comanda l'automa.
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