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La
personalità non ha nulla che
vedere con l'intelligenza.
Come infatti insegna Kurt Schneìder,
esponente della psichiatria più colta e sensibile, all'area
tematica della personalità appartengono le funzioni istintive, quelle
emozionali e quelle volitive, ma da essa vanno escluse senz'altro
quelle cognitive (dell'intelligenza appunto).
A dimostrazione di quanto
detto basti qui ricordare come le esperienze psicopatologiche non sono mai
segnate da disturbi dell'intelligenza, la personalità si fa "malata"
quando le funzioni di cui è intessuta si autonomizzano l'una dall'altra.
Questo discorso apre la scena dell'educazione e del suo compito più
alto e proprio, ossia sviluppare l'acustica dell'anima, impegnandosi
nell'ascolto delle emozioni, delle passioni, senza cadere nel terribile
errore di pensare che l'educazione si esaurisca sul piano della
razionalità e quindi della trasmissione dei saperi tecnici.
L'educatore
più che trasmettere ad altri conoscenze deve, prima di tutto, farsi
capace di trasmettere a sé la comprensione della persona
che ha in affidamento.
Quando si evade dal piano fondamentale dell'educazione e si scommette
solo sulla costruzione sociale dei ruoli professionali, a quel punto le
personalità in formazione diventano friabili, incredibilmente
vulnerabili e con ciò indifesi recipienti per ogni tipo di paura, la
quale non può mai essere vinta sul solo piano razionale.
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