"Il cosiddetto Muselmann,
come nel linguaggio
del Lager veniva chiamato il prigioniero che aveva
abbandonato ogni speranza ed era stato
abbandonato dai compagni, non possedeva più un
ambito di consapevolezza in cui bene e male,
nobiltà e bassezza, spiritualità e non spiritualità
potessero confrontarsi. Era un cadavere ambulante,
un fascio di funzioni fisiche ormai in agonia ".
[Amery]
Questa descrizione prova nel modo
più abbagliante come non esista paura senza speranza - né speranza
senza paura.
Nell'immagine del recluso vagante che ha smarrito
qualsiasi capacità di dare senso al proprio destino ogni futuro
possibile si dissolve, e con esso tutti i mali più temibili scompaiono
dall'orizzonte, ma in questo modo scompare anche la vita.
Triste allora è quell'epoca che vive solo di speranze, giacché in essa
prolificano innumerevoli i germi della paura.
L'atto di forza che eleva
un'età al di sopra dell'esile presente speranzoso, che riesce a crear
spazio al possibile contro ogni passiva acquiescenza verso il
contingente ha un nome moderno: si chiama utopia.
Solo in questa figura
simbolica, puramente razionale, una civiltà trova la capacità di
imporre forme sempre diverse al proprio futuro. Il resto è viltà.
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