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6. Paura e speranza

"Il cosiddetto Muselmann, come nel linguaggio
del Lager veniva chiamato il prigioniero che aveva
abbandonato ogni speranza ed era stato
abbandonato dai compagni, non possedeva più un
 ambito di consapevolezza in cui bene e male,
nobiltà e bassezza, spiritualità e non spiritualità
potessero confrontarsi. Era un cadavere ambulante,
un fascio di funzioni fisiche ormai in agonia ".
[Amery]

Questa descrizione prova nel modo più abbagliante come non esista paura senza speranza - né speranza senza paura.
Nell'immagine del recluso vagante che ha smarrito qualsiasi capacità di dare senso al proprio destino ogni futuro possibile si dissolve, e con esso tutti i mali più temibili scompaiono dall'orizzonte, ma in questo modo scompare anche la vita.
Triste allora è quell'epoca che vive solo di speranze, giacché in essa prolificano innumerevoli i germi della paura.
L'atto di forza che eleva un'età al di sopra dell'esile presente speranzoso, che riesce a crear spazio al possibile contro ogni passiva acquiescenza verso il contingente ha un nome moderno: si chiama utopia.
Solo in questa figura simbolica, puramente razionale, una civiltà trova la capacità di imporre forme sempre diverse al proprio futuro. Il resto è viltà.


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