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3. Paura e crisi della presenza

"L' uomo libero, cioè che vive
secondo il solo dettame della
ragione, non è dominato
dalla Paura della morte [ ... ]".
Spinoza

Che la principale tra le paure di cui soffrono gli uomini sia proprio la paura della morte non è difficile da mostrare; né, a superarla, vale l'obiezione epicurea per la quale quando ci sono io non c'è la morte e quando è giunta la morte ormai sono io a non esserci più; in realtà la nostra morte la vediamo negli altri, in chi era tra noi e adesso non c'è più, lasciandoci solo il silenzio assordante della sua mancanza.
Ma del morire ciascuno fa anche un altro tipo di esperienza; quando ci colpisce una malattia incurabile, quando finisce un amore, nel fallimento di un obiettivo: le occasioni per sperimentare una morte diversa da quella biologica, ma non meno schiacciante e temibile, sono innumerevoli e ad esse la vita ci espone in ogni momento.
In tutti questi casi cos'è che vien meno?
Cosa provano gli uomini quando patiscono il senso del morire?
In genere e per lo più, è il sentimento della propria finitezza che viene alla luce, ma in una forma del tutto particolare che è il venire meno della propria presenza.
Cosa sia "presenza" lo spiega perfettamente De Martino: "la presenza è movimento che trascende la situazione nel valore, è volontà di storia desiderosa di ritornare sempre a decidere il divenire".
Sentirsi inchiodati alla situazione presente, al vissuto contingente senza aver la forza, o l'aspettativa, per poterlo trascendere in un orizzonte di senso, in un diverso presente a venire; avvertirsi estromessi dal corso della vita, è questa la modalità che ci rende vittime di un morire.
Spesso, non solo da fanciulli, ritorna questa verità in un sogno ricorrente: esposti ad un pericolo e preda della paura vorremmo scappare, correre, eppure le gambe non si muovono, pesanti ci lasciano li, a patire il nostro morire.


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