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Dall’atto I del “Processo a Kafka”

KAFKA: Il morbo, l’assoluto molteplice morbo, non risparmia chi ne è vicino e a distanza; eppure, qui in alto, non giunge eco alcuna d’una Praga contaminata (va alla finestra e vi rimane). Nessuno, guardando quel torrente che ho fissato tante volte non vedendolo, penserebbe che è contaminato. Perché l’acqua è vita, la vita che ti sfugge senza che tu abbia attuato un decimo di quanto t’eri proposto. L’acqua è scorrere perpetuo, ma soprattutto memoria.

EVE: Memoria, Franz? Che idea bizzarra…

KAFKA: Memoria, sì. La memoria dell’acqua. Acqua che fluisce, che cancella. Che cancellerà gli istanti, interminabili, del mio incontro con gli emissari d’un potere incontrollabile. A te parlo, trasparenza che nascondi i tuoi abissi; perché anche tu hai voce come ogni atomo in natura, purché si abbia orecchio per intenderla. Sei la liquida memoria, tu, in perenne moto della terra, di quest’ammasso immobile di pietra e fango? Guardarti scorrere equivale a immergersi in una lucida veglia onirica; chiunque ti vedrebbe adesso non come elemento o somma di elementi, ma come una delle mani di Dio in una forma accessibile a questa povera vista. Potenza, grandezza visionaria dell’occhio! Sulle tue rive – posto che somiglino a rive i pendii di sassi levigati da un fluire mai uguale a se stesso – s’innalzano d’un tratto le piramidi, le acropoli fiammeggianti d’oro antico al tramonto, i pantheon della grandezza nella miseria, le colonne d’Ercole dell’ignoto violato e del talmud affiorante dei marosi, e tutto quanto l’uomo ha creato non per se, ma per una sorta di memoria cosmica silenziosa perché ovunque. Oppure, più umilmente, per la memoria dell’acqua. Una memoria che si sottrae a se stessa; che racconta adesso ciò che un istante dopo è già mutato. Stravolto. Andrebbe imbrigliata, incatenata, annodata. Ecco, un nodo. Il nodo. Un insulto alla tua struttura, anzi alla tua non-struttura: il nodo d’acqua. Ove lo spirito s’inchiodi davanti allo specchio vertiginoso, ma fissato forse per sempre, dell’acqua che racconta senza travolgere gli oggetti della narrazione rendendoli incomprensibili: per scorgervi sgranarsi adagio, quasi scaturiti da una dimensione scoperta con la sua necessità, le infinite nozioni riconducibili a una, alla memoria della sorgente prima da cui tu, acqua, zampillavi. E tutto questo ha un nome, che manterrai malgrado gli esperimenti falliti, le esistenze bruciate sull’apparenza dell’assurdo, la tua inafferrabilità: la memoria dell’acqua.

La memoria di Dio. Perché Dio è soprattutto memoria.

Franco Vassalli


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