Stanislao Nievo
Stanislao Nievo nasce a Milano il 30
giugno 1928.
Trascorre l'infanzia tra il Castello di famiglia, a Colloredo di
Montalbano, in Friuli e l'Agro Pontino, nel Lazio. Fin da bambino è
fortemente attratto dagli animali selvaggi, così, tra i 10 e i 15 anni
- stabilitosi a Roma - inizia a frequentare lo Zoo. Vi passa ore e ore
a nutrirli con gli avanzi dei suoi pasti quotidiani. Un giorno, però,
viene cacciato dal guardiano, perché trovato ad accarezzare un
rinoceronte, il suo "primo amico", come amava dire. In seguito divora
libri sulla natura e di geografia, e un giorno addirittura si mette a
tradurre dall'inglese un volume di zoologia sistematica delle scimmie.
Ha diciotto anni.
Quindi, arriva l'Università, Facoltà
di Scienze Naturali.
E
subito la brama del viaggio. Lo farà in autostop, per iniziare. Così
visita Francia, Olanda, Belgio, Inghilterra. Si mantiene con lavori
improvvisati, ma a fatica. Regge abbastanza bene, mangia poco, e un
principio di tubercolosi lo costringe infine a tornare a casa.
Ma si sente prigioniero, con la curiosità nelle vene. "Orrore del domicilio",
secondo una nota espressione di Baudelaire. Appena guarito, riparte.
Danimarca, Norvegia, Svezia e Capo Nord, rigorosamente da solo.
Dal 1958 a stargli accanto - Stanis è diventato nel frattempo
giornalista - è Consuelo, sua
moglie.
La
letteratura arriva solo nel 1974 - a 46 anni - con Il Prato in fondo al
mare, sorta d'inchiesta romanzesca sulla fine misteriosa del prozio Ippolito, autore de Le Confessioni di un Italiano,
scomparso tra Palermo e Napoli, col piroscafo Ercole, il 5 marzo 1861.
L'antenato portava con sé documenti fastidiosi per i vertici
istituzionali dell'epoca e da sempre questa è la ragione più evidente
per spiegare il mistero. Stanis vuole andare a fondo. Nel senso che
scende negli abissi del Mediterraneo per recuperare pezzi dell'Ercole
che possano accertare la verità. Ma non solo per questo.
Qualche
illuminato collega scrittore avanzò interpretazioni più sottili del
gesto avventuroso… "Identificandosi con Ippolito Nievo, Stanislao Nievo
finisce poi nell'incarnare tale identificazione nel proprio feto,
protagonista della beata vita abissale (…)". Così Pier Paolo Pasolini
tira le somme del senso dell'opera prima di Stanislao Nievo in una
recensione (contenuta in Descrizioni di Descrizioni Einaudi editore).
Il centro è svelato, com'era abitudine del poeta. La beata vita
abissale è infatti l'orizzonte rigenerante che Stanislao Nievo ha
perseguito per tutta la vita. A partire proprio dall'Africa...
Nel
1953 lo scrittore mette piede nel continente tanto agognato con alcuni
compagni d'università (facoltà di Scienze Naturali di Roma) per
effettuare delle ricerche su un continente scomparso, il Lemuria, e su un rarissimo esemplare
di pesce: Il Coelacanthus.
Nel
1957 incontra i pigmei in Congo, che "fischiano e ridono felici nel
fango", e nel 1962 - in Australia - gli aborigeni in via d'estinzione.
Uno in particolare, pittore, tra i tanti dell'etnia, è il protagonista
di un articolo di Nievo per il quotidiano Il Piccolo: "Dipingono ad
acquarello, con la stessa anima di mille anni fa. E' un messaggio che
viene dalla preistoria, conservatosi nella purezza di un deserto
infinito. Narra l'angoscia di questa gente sensibile ed irsuta, la loro
forza contro la natura matrigna, la loro felicità fatta di una pozza
d'acqua…".
La loro felicità fatta di una pozza d'acqua: Stanis ne resta incantato.
Il 1967 è l'anno del passaggio
dall'inchiostro alla pellicola: Nievo gira "Mal d'Africa".
E denuncia i poteri coloniali "…Chi comanda sono di solito i più furbi,
i più svelti ad usare le tecnologie moderne (una per tutte, le armi).
La cosa che ho visto in Africa è il reclutamento degli eserciti
bambini: cioè ai bambini si danno i fucili e non i libri, per mandarli
- invece che a scuola - a combattere" (da un'intervista rilasciata a
Pietro Pancamo per la rivista www.progettobabele.it).
La natura
violata scuote l'artista, prefigurando un impegno più intenso: la
letteratura. Tarderà però ad arrivare, perché c'è da rimuovere un
ostacolo. "Forse la presenza di un grande antenato - Ippolito Nievo -
mi ha trattenuto a lungo, in qualche modo per soggezione. Poi,
misurandomi proprio con la storia misteriosa della sua tragica fine, mi
sono deciso. E' nata così la libertà di essere me stesso, di scrivere
libri…".
Esce quindi, nel 1974, Il Prato in
fondo al mare che gli vale il Premio
Campiello
l'anno successivo. Nel 1979 arriva Aurora e nel 1987 Le isole del
Paradiso con cui Nievo vince il Premio Strega. Stanis è esultante, per
quest'ultimo riconoscimento, certa stampa un po' meno. Quella storia
"alla scoperta di una nuova patria nel regno della natura", secondo una
definizione di Claudio Toscani, scombussola aspettative di casta e
provoca reazioni incredibilmente astiose.
Il 1992 è un anno decisivo per l'attività di Stanislao Nievo. Dà vita
alla Fondazione Ippolito Nievo:
lo scopo è quello di salvaguardare e promuovere l'anima di tanti
piccoli paesi d'Italia, rendendoli protagonisti di una nuova economia.
Il sistema? Trasformarli in "Parchi
Letterari".
Stanis individua dei luoghi presenti nelle opere di alcuni grandi
scrittori d'Italia e propone ai Comuni di farne vere e proprie riserve
di cultura: Viaggi Sentimentali
con un cantastorie, riscoperta dell'artigianato e della cucina
tradizionale. Il sogno de La beata vita abissale si incarna.
Solidamente. Il tassello mancante resta un castello. Quello di Colloredo di Montalbano,
distrutto nel 1976 da un terremoto. La Regione Friuli stanzia dei fondi
per ricostruirlo, avviando anni dopo un procedimento di esproprio.
Lo
scrittore non risparmia energie intellettuali ed economiche per
riprendersi il maniero di famiglia. Ma non per possederlo ed abitarlo,
di tanto in tanto, è un artista, anzi di più: un Mendicante di stelle
(come titola la sua biografia scritta da Claudio Toscani). Diviene
ossessionante il desiderio che quell'edificio del passato, dove il
prozio Ippolito Nievo scrisse
le Confessioni di un italiano
ed Ermes di Colloredo, altro
illustre antenato, i suoi versi libertini, si trasformi in una Cittadella Culturale.
"Perché Colloredo non divenga una valigia vuota abbandonata nel
deposito del tempo" così Stanis chiosa un suo articolo pubblicato sul
Messaggero Veneto l'1 novembre 2001.
Ma la causa è persa.
Gli ultimi anni sono ancora romanzi, Aldilà,
Gli Ultimi cavalieri
dell'Apocalisse, e poesia: la ristampa, in versione bilingue -
italiano e spagnolo - di Canto di
pietra, nel 2006, l'ultima creatura. E ancora ansia di riempire
di pozze d'acqua i vuoti moderni.
Fino alla fine, il 13 luglio 2006, dopo una lunga malattia. "Addio uomini dal cuore di città // la
foresta si lancia nella mente // e torno felice // laggiù"… (da
Barca Solare).
|
|
|
|
|