CASOMAI
L’ANIMA COME SCIENZA
Francesco Sine Pelizzoni
A Giuseppe Brioschi,
Eroe nell’insopportabile
Tribolare in un letto
Sino al sonno infinito.
Eroe del cuore sincero
Dell’inaudita generosità
Dell’inosabile altezza
del cielo
Oltre
L’ultima comprensione
È la tua,
Mio signore
Ovvero ascoltata incomprensione.
Quel piccolo sotterfugio
Della preghiera davanti a tutti
Era la nostra debole anima
Quel piccolo furto di cuore ad altri
Era la nostra fede nel tuo perdono
Ora, che abbiamo inseguito
La tua ombra di Risorto
Dopo l’estasi ad Emmaus
Siamo come soli senza nome di stella
Senza pane per i nostri denti storti
Che crebbero in noi nella bocca
Per ritmo di crescita e destino
Assieme alle parole ai morsi
Alle onde del tuo mare dentro
E come tragedie di barche senza reti
Barcolliamo tra ripe spumose e gocce
Da visiere tormentose
Ai saltimbanchi delle gote
Ora scoglio, ora sorriso…
Mio Signore,
cambia idea
di questo respiro-argilla
l’angosciante raggio
di vite a metà
tra l’ombra la
cenere
a fiorire sbando,
a scrivere ‘quando’
la tempia sfasa
di conci, malconci
intatti schianti
dietro l’anno, i giorni
i racconti nelle urne
nel calice del Tuo oceano
nel corpo di occhi
della mezza-quaresima
attorno alle stelle
nell’abisso, del Tuo
timone
vorremmo scrivere
la rotta, delfini
della Tua luce
ora siamo
tra le seggiole vuote
dei nostri cari
Mio Signore,
cambia idea
per sempre
Insieme
Udibile e visibile
Aleggiano nel raccolto
Dell’uomo-ognuno
Rose di macchia
Crescono insieme
Profumano e vanno
Io, il ghiaccio, e tu
Parli con la benedetta parola,
Irrigando le lacrime sciolte
Dell’aldilà
Con i riflessi nel tuo respiro
Istantaneamente di vivere
Cuore a cuore
Palmo a palmo
La bianca nube
Dentro la parola
Inquieti
Per dolci inquietudini
Inquieti
Per campi magnetici elisi
Inquieti
Per eluso amorio
Inquieti
Di penombre colorate
Inquieti
Di non ritorni
Inquieti
Per lunatici disadorni
Inquieti
Eco, ecco
Eco, eco, eco
L’arte di logica incontatta
Asemantica,
Gioiosa guerra
A guisa di carne insaguinata
Insensibile al riflesso
Di altra carne
Si sfanno, sfanno le tombe,
I mari delle ceneri
Sfiorano le guance dello squalo
La tomba nell’aria
Ma nel sogno non solo si dorme
Papavero e memoria
La tomba nell’aria
Nello specchio è l’alba
Venga l’uomo dal sepolcro
Come il mare nel raggio
Delle cose oscure
Germinando un cuore dal cuore
Colma il vaso che noi vuotammo…
In ciascun noi aleggia
La sembianza di landa
In cui tutto è sorgente
E la schiuma della parvenza
Futile pervasione
Né prominenza alcuna
La vita
Ha non noi in gioco
E se si vuol la dimenticanza
Sappia la più notturna delle notti
Dal culmine del drappo di stelle
La carezza dell’addio
Non ha parole
Non ha lacrime
Quel che più profondo l’occhio
Sia strenua, stranita stanchezza di vivere
Quel che più profondo l’occhio vede
Ad ordirlo non la sarta della luce
È l’ospite laggiù
E’ l’ospite laggiù
L’intessuto di una grande bandiera
Pettina col sale le ciglia
Mentre la sua anima circumnaviga
Il viso, l’ibernato ghiaccio
Dal galoppo dei villaggi dell’eternità
E’la baluginante pelle della sera
E’ l’ora che porge il sapido tempo
Pregò finchè tutte le gradazioni dei colori
Passarono in occhi in sembianze in veste
di sogni, di viole, di rose…
e tutto sembrò rovinare nel mulino ad acqua
che macinava il mare, presto, tu
può darsi, sarai la piccola falena
e dall’abisso ripudiato dal cielo…
così perduto ripeteva alla zattera
del non-perduto nel luogo del cuoresoffio
dove nascono le anime
le anime come pause del
maicuore
dell’annobattito,
del ventofermo
Ciò che più pesa il nulla
Che trattenesse qui,
di tutto il volto
il raggio, di lanterne
lontane
scomparse, finchè la mano
affonda
tra le svolte e il resto
Tutto il resto è presto
Per chiamarla felicità
Avrete la severità
Dei giorni di novembre
Obbedendo alle corde
Alle conversazioni delle orde
Avrete lo strale scandaglio
Dei giorni di marzo
Indorando la melodia
Da cantare alla melanconia
Avrete l’incantesimo di giugno
Spaccato tra falde, verbo, follia.
Al crepaccio del tempo
Perso tra il prato e ghiaccio
Il lago, irrefutabile
Sino ai penitenti fatti del cristallo
È la parola dell’acqua
Che attraversa nuotando
Notando tra respiri e respiro
L’intatto, lo straziato
Il cuore era quando il viola aggredì
Batteva le offerte dall’urna,
spirando.
Non senti dove giace la materia che dorme
Non senti la rosa del ghetto
Con petali invasi
Dall’impavida luce
Dalla scala del corpo
Dentro gli occhi hanno generazioni di vita
Sfiorando felicità e tristezze dalle ali
Nulla, che trattenesse
L’invano, il suo vortice
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