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Francesco Sine Pelizzoni

Se rimanga
finchè venga
la gloria di Colui
che tutto move,
che dimandi?

ancora,
fu vedere, non dire
parola
di chi discende

e la memoria non può ire
e la voce non può che sìlere

non può afflizione
alcuna, in grappolo
o miserabile stato
comunque fosse
popolo ovver uva

orna il capo:
quattro rose rosse
ad agonem mente
incorrupta surgebam

introibo ad alterem dei

ad confitendum tibi
sicut aurum fornacis
festucas arguo
intelligentiam suaso

‘Primum querite regnum Dei’
et salutem animarum
ex corde ostendo
sicut ablactatus super matrem meam

in anima patiantur
ut in omnibus glorificetur
si sollicitus est
ad opus Dei

Si adhuc steterit,
stia indeciso per sempre
lungo linee di conoscenza
permane e s’offre



stipata nelle rughe
compresso dal dolore
vitello d’oro per milenni
tali leggi per dormé
tali riscritte per Aronne

Gloriosa, antica caduta
per lunghe armate
di pianura
dopo il mare le mura

Disperazione,
olio di Saul,
bisogno di re
sino al grece di Babilonia
sino al sogno di Von Leiden

Eppur libero,
ancor libero
seppe adorare altro
vuoi per Daniele,
vuoi sì verso

a se
alzarsi repente

attraverso nabla
dimorò l’onda
ora corda
ora l’altra caduta

rango sfavilla
e raffinatezza d’intorno
era suono
era suolo adorno

battuto dall’umana spece
immagin di ciel
dal sole fermo
transumanar

per verba
acclina la sorte
e remoti gusti
a remoti la morte



e per ormai
colorar la parte
restò nudo senza fondo
terra solitaria di corte...

ducento sono per nave
più del doppio gli occhi
le ali non contano le piume
duecento sono la madre

e l’insensata cura
l’ardore, la luce cherubica
lo splendore il diletto il favore
 non conta per volare

ben si distingua
discerna pensieri
da veriterna

hai voler
governa sangue benedetto
e disposa lingua da parola
vinto mer e sublime

vinto vola
consiglio discender
cala per onda
cala per tonda

terra per elevarsi
ancora media nocte
il sole, l’abito di stelle
nel giglio dorante

il mistero, il malessere
stai perchè hai voler
stai perché sogno
disagio, affronto

lezione sono
mentre alla quiete
al segno volgono
il gomito di legno





l’amaro delle mete
rapido transita le gole
schiavo di se
come la piuma del grave

mentre terra di suole
 centro e lontano vince
così sembra, così è
angolo d’argento

mille cieli lunari
al sacrificio d’armento
germano olocausto
umano pasto

di vite senza esistere
lungo il polso dei binari
non si vede sangue
né perdizione pei campi

nè per strada
il ritmo violento del penso
lungo le cime deliziose
dei costellati tavoli

discusso si disse
Majacovskyj l’elicottero
il poeta cantò
segregando tempo al temporale

Saigon spense
l’oceano libero
Maya disse:
che c’entri figlio?

Non l’insidia della domanda
semplice che c’entri
quale risveglio trasanda
altrove

Assoluto a Berlino
sicut gelo parve alla neve
curiosità e dilettanze
tal anime sovr’altre sovrane.



Diventare quell’essere immane
intra sciolte parvenze
meraviglie purificanti
eccitanti matrici di semenze

Assoluto siano sublimanti
elementi di luce
spiriti vitali
le speranze

Le strazie membra:
ha la forma il cuore
ha l’universale forza
ha la dilaniante analisi

Eppure sembra
abbagliante agonia
adibendo sepoltura
a sapore e pace

finalmente.

In forma dunque di rosa
la devozione a disporre il fiore
a cavallo nel sangue del mondo
violare le cause di petali

Jene Rosen, quelle rose
la delezione delle alte ali
per volare, dalle usate pene
all’ anime rare

hanno provati spiriti
acuto cerchio,
 a sciame le primavere
quanto il cuore dell’uomo

nuovo per ardore
senso di purezza augusto
indomabile per solenni ordini
placa brevi, lievi, amasse le nubi

libra dal sommo
messaggero per scorte celesti
lente smorte in coro
alati rami ardenti


per gemme socchiuse
presto a fiorire
rianimando lento morire
ostinando splendore

al furore tormento
alla fine giusta furore
dalla cripta ai tigli
dalla turba al limpido cielo

la vita uno e un sogno
sparendo guasta profondo
alla sera, fra un din e un dan
ruba il grosso alla noia

e sottile guasta il costo
scaraventa la lotta ora nel fuoco
ora in voi per spartire
fiamma e parole

stelle celano comando
puntellano il fragile muro
per schegge stremando
il cielo, il solletico della paura

gioco e miracolo
archimaree dell’opera
dal palpito profondo
a dell’essere semplice stare

d’improvviso d’ogni verde il mare
cancella a fiotti la coscienza
scolpita, solenne premuta dal sublime
al punto più lungo, più lontano

sfigura prospettiva
da quel silenzio largo
confusa umida candida
spira immenso la rosa spazio

asilo di segni stillanti
creature da muta stirpe
da ottusa gronda
schiera prore all’onda



inventa modo per giardino siderale
senso di mai, senso di sempre
inaudito, maturante tocco
indietro volto

avanti sguardo
per sorriso-architrave di pelle
l’orlo deborda diafano
arde l’abbaglio di capriole

luccica quale parole-fari
nessuno alzate alle stelle
scivola verso ignoti versi
senza terra ad urlare fasi

dallo strame, dalle più segrete parti
spiraglio tale che neppure la formica
eppure l’armata  dei Sigilli  sfida alamari
cambia posto a mille anime la fatica 

come chi colga fiori per ferirne la bellezza

eppure sussurra l’ineguale sia
tanto l’atteso scontro da più lieve cagione
altrimenti di morte non sia
ancora  afferra chi  lungi esclude chi dentro

alla mente  l’anima attraversa  stanze
 mentre lei quasi tutto sapesse
dagli occhi che travasano ancor splendore
spausa la fiamma che incenerì il cuore

ornata Sposa, invunerabile riposa.































al requiem
la pelle del mare
la stoffa dell’assenza
al grecale
l’ ultimo soffio

che dorme in noi
nell’eternità
è  la coscienza degli dei

e sorprende l’origine
donde sorge il destino
 imprimendo esistenza
alla dolcezza della pelle

che impiglia in noi
dall’eternità
è la coscienza degli dei

perche non parli dell’infelicità,
uomo,  raccordi l’aperto
all’effimere significanze...
uomo, dove sei

che dorma in noi
nell’eternità
 la coscienza degli dei















a dimenticare
di essere continuamente legato
ai due limiti
nascita concepimento
mentre la natura
c o  r   r    e

nel farmi interprete
dell’infinita estenuazione
di valore di insignificanza...

attraverso il mare
attraverso il silenzio
attraverso il profumo
dell’acqua, delle sue lame

ho l’anima
a dimenticare
di essere continuamente legato
all’indecifrabile intervallo























è la spiegazione:
succede.











































trovarti salva
tra tante diafane illazioni
a intrecciare estinzione  con vita
mentre la risposte
sposano il sospetto della domanda
alla salvezza del sorriso amnesico
e nel vento del tuo disgelo
identificando per assegnazione
ad altra malinconia
la coda dei tuoi pensieri
avrò riguardo
 della tua ricerca turbata
dell’originaria apertura
al mondo, perchè
sei l’indeterminata fluidità
dell’archimarea
ora


























le due del cristallo
fuori la tomba
dal sospiro a grida
un attimo
dentro
mai
per sempre rotto
alle baionette del cuore
alle corte fucilate
-all’infranto sonoro
della terra che cade
sotto le unghie della luna

















































a rimuovere la carne provvede la carne
mentre il controsenso dell’anima
attraversa la prospettiva dell’essenza
nelle trame nelle correnti nelle assurde vie
delle cose, dei fatti





















il cielo incantato
a trovare figure
che noi cantammo al di sopra
dell’inganno alla necessità
dell’inganno
conserva lo spiovente dell’abbaino
da dove  leggi
la begonia dei petali
dell’anima

e ancora vedremmo
l’autorità dell’incantesimo
nei nostri occhi






























e saremo ancora mani
per ascoltati fiumi
silenzio di meduse
per altri metamotivi
che sentimmo in noi

perché nascano incerte le mani
illese mani
qui tra le rime fatali
degli orologi, degli orgogli
dal pendolo alle domande riposte
mai poste ai cancelli del cielo





























all’ascoltare
grata di parole
dove ciondalo pensiero...

vede, vede, noi vediamo
la rosa fiorendo nulla

tra le dorate mani
negli anelli dell’anima
nella cenere da benedire

oggi
attorniò la leggerezza
sprofondando alla non-notte
all’ingiù
come una corona selvatica

per le soste
ai polverosi cuscini
brucia, brucia, bruciamo

la fiamma di mezza vita






















solo con se stessa
la vita
ci diamo tanto a costruire

il sasso nel cuore
dischiude giacciai

l’uomo-ognuno
salirà, tornerà
alle sillabe colore del mare

ai vasi colmi di sabbia
la vita, le nostre orme





























gemme di giglio
toccato, intatto
ad altezza di ghiaia

nello scambio d’occhi
il rosso delle labbra
il buio della bocca
il frantumio delle parole
il segno della retina

del Creatore
del suo silenzio
splendens
la neve crescente
di tutte le dimore




























l’unico campo delle cifre
in coro
a legami abbaglianti
inafferabili
abbracciati a sassi
fragranti di madri
dove versa l’ombra delle mani

l’unico viso inghirlandato di sdegno
disserra zigomi
schiude labbra

tace.

.


angelo